Oppure come Lot?
C’è il perdere e il perdersi, ma c’è anche il ritrovamento. Il Dio dimenticato, il Dio perso ti viene a cercare o capita che senza saperlo sia anche tu a cercarlo e l’incontro ti può afferrare in qualsiasi momento, in qualsiasi posto.
Tutto ciò appartiene al desiderio di Dio, tutto ciò appartiene al cammino con Lui quando nel cammino c’è Lui e un uomo che, non dimenticando di essere tale, non gioca a fare il burattino, o l’automa.
Quando vicino si trovano Dio e la sua creatura le possibilità si fanno infinite, infinite sono le vie della perdizione, infinite sono le vie della grazia e infinito è il mistero di quel rapporto.
Non si deve aver paura e fuggire dalla vertigine che prende quando ai bordi guardiamo il nostro abisso perché gli angeli ridono della nostra pochezza che è briciola rispetto all’onnipotenza di Dio e non si deve neppure avere paura del più ardito dei voli perchè ci solleva il vento dello Spirito e non il nostro piccolo soffio.
Una volta o l’altra, durante la santa messa o una preghiera, una lettura, un colloquio con amici, l’interrogativo può farsi inevitabile: l’immagine tradizionale di Dio, che era propria della giovinezza, sparisce, l’uomo incontra Dio. Forse allo stesso modo un po’ brutale in cui per la strada ci s’imbatte in un passante: non è possibile schivare, piegare in un vicolo laterale, nascondersi, incollare gli occhi su di una vetrina. Ciascuno dei due ha scorto l’altro; la seconda questione ora è se si debba salutare o no.
Dio si palesa, Dio parla; forse anche ad altri, ma comunque ora parla a me. Come la sua parola sia intesa da chi mi sta accanto, per il momento non m’interessa affatto. Dio ha scelto quest’ora e questa occasione per incontrarrni. Egli ha i mezzi e il potere di fare in modo che l’uomo non possa cambiare strada, che si debba decidere, e si decida di fatto. Quando il credente s’accorge di tutto questo, il più delle volte ne è colpito a tal punto da starsene lì come un ferito.
...
D’un armistizio con Dio, nemmeno a parlarne. Bisogna inchiodarsi sul posto finché non si sia sentito tutto. Dio non tira avanti sulla sua strada, ma ora vuole essere ascoltato, e l’uomo deve farsi, letteralmente, tutto orecchi. Quel che Dio ha da dire, non ha bisogno di molte parole; può trattarsi di un’unica parola, che poi può dilatarsi in un’omelia intera.
Può anche avvenire che tutto resti allo stato d’avvio, che Dio si serva di giorni, settimane, anni d’incontro, fino a che l’uomo non l’abbia compreso in qualche modo. Ma in quanto creatore e redentore dell’uomo, Dio è così vicino a quest’ultimo, e lo conosce così bene, da sapere esattamente come prenderlo, come farsi ascoltare, a quale parola l’uomo reagisca infallibilmente.
Molto di tutto questo è insito nella parola che il Signore rivolge ai discepoli: «Seguimi!». Una volta che l’uomo l’abbia percepita, è in essa che va ricercato cosa si sia inteso per lui, come egli debba rispondervi, dove debba volgersi per acquisire una chiarezza definitiva, Può anche darsi che egli abbia udito qualcosa di meno, una specie di «sono qui» di Dio, parole il cui senso si snebbia e palesa lentamente.
(Adrienne von Speyr, L’uomo di fronte a Dio, Jaca book, pp. 39-41)